Un rosso travestito da bianco, dicono. Non per nulla qualcuno lo chiama perfino “Timorosso”, per ridere ma nemmeno poi tanto perché poi capita di imbattersi, tra i filari, in qualche pianta carica di acini… viola
Brutti quanto volete, dirà chi ci lavora, ma spie di acidità e ph spettacolari, che ne fanno davvero qualcosa di unico, non per nulla l’habitat naturale è in Piemonte, sì, ma in quella linguetta della regione che va a sbattere con la Lombardia, l’Emilia e la Liguria, strizzato tra la piana del Po e dello Scrivia, i colli piacentini e gli Appennini da cui soffia spesso un bel vento marino che insieme alle tipiche marne azzurre della zona (non per nulla Sant’Agata dei Fossili, la capitale di quello scheletro di terreno, è proprio al centro di questo territorio) dà un bel contributo alla tipicità di questo vino.
Un vino del tutto nuovo, verrà di pensare ai più. Ma distrattamente: perché se è vero che la sua fortuna ricomincia più o meno trentacinque anni fa ad opera di pochi vignaioli, giusto i Poggio, i Semino e pochi altri capitanati da quell’autentico e istrionico – un po’ matti bisogna essere, per tentare un’avventura del genere, in un territorio coltivato quasi completamente a Barbera e Cortese, il bianco più “facile”, tanto che a Gavi, a un tiro di fucile dietro Serravalle Scrivia, non se lo son lasciati scappare – che fu ed è tuttora Walter Massa,
se è vero tutto questo, è altrettanto vero che di queste uve parlava un tal Pier Crescenzi nel Milletrecento, che le ricerche ampelografiche dell’Ottocento lo definiscono perbenino, e in quell’arco di tempo si batteva proprio con il Cortese di Gavi per il titolo di principe dei bianchi piemontesi. Ma era un vino tosto da lavorare, la Barbera rendeva di più, in questi 1250 chilometri quadrati (50 da nord a sud per 25 da ovest a est) sulle terre di 46 comuni quando Massa e i suoi amici ricominciarono se ne allevavano appena due o tre ettari, e tali rimasero ancora per un po’. E insomma, malgrado il pedigree antico, malgrado che “a Tortona – come dice Walter Massa – sia nata la rivoluzione e a inizio Novecento ci fosse il mercato di vino più importante d’Europa”, per un po’ di tempo si continuava a sbagliarne anche il nome, che d’altra parte anche nei testi del passato non era così definito, c’era chi scriveva “uve di morasso”.
E arrivando addirittura al 2017, con un film di Giovanni Veronesi, “Non è un paese per giovani”, il giochino dell’equivoco continua, all’inizio i due giovani protagonisti si incontrano in un ristorante e uno chiede “una bottiglia di Timoroso” per sentirsi rispondere “Timorasso, vorrai dire”. Giochino malizioso, classico esempio di “product placement”, perché c’era già un Consorzio (che aveva lavorato per quella scena), gli ettari a Timorasso erano cresciuti da 2 agli attuali 330, i produttori sono più di cinquanta e ogni anno sul mercato vanno 1 milioni di bottiglie, ma il potenziale è ormai proiettato verso i 3 milioni. Resta solo da definire la denominazione, perché oggi siamo nell’ambito della Doc Colli Tortonesi che copre le sei valli del territorio: Grue a nord ovest, Curone su tutto il fianco est, Ossona al centro, Scrivia a Ovest, Spinti a sudovest e Borbera a sud. M
a il Timorasso aspetta l’approvazione della sua sottozona, che si chiamerà Derthona (l’antico nome romano di Tortona) Timorasso: presentata nel 2020, potrebbe arrivare presto accanto alla Monleale che è la zona della Barbera e alle Terre di Libarna che già si definisce però a Timorasso (95% minimo, dice il disciplinare) con qualche esempio perfino di spumante. Altitudini delle vigne che nella parte nord oscillano tra i 200 e i 350 metri, spingendosi verso gli Appennini variano fra i 400 e i 600 metri. Andamento prima placido poi a bricchi, più spigoli che dolcezze a raccontare molto anche di tenacia mista a grandi passioni: nulla da stupirsi se poi si scopre che giusto tra questi colli ci sono Castellanìa che diede i natale a Fausto (e Serse) Coppi, l’Airone, il Campionissimo la cui figlia Marina produce per l’appunto dell’ottimo Timorasso; che Volpedo fu la culla di quel Giuseppe Pellizza da Volpedo, appunto) autore del famosissimo dipinto Il quarto stato; e che per contro a Tortona città vide la luce don Lorenzo Perosi, sicuramente il più noto e il più eseguito autore di musiche sacre del Novecento.
Si divaga? Può essere, ma da raccontare c’è tanto, di un altro pezzo di Piemonte ingiustamente ritenuto “minore”. Ingiustamente: perché sta di fatto che il Timorasso è salito alla ribalta di prepotenza, e si è imposto tra i vini bianchi più interessanti d’Italia. Forse proprio per quelle sue spiccate doti… da rosso: prima tra tutte la longevità, la capacità di crescere con l’età, di evolversi in maniera anche inattesa se si confrontano le floreali aromatiche fruttate annate recenti con le idrocarburiche, minerali, sapide stagioni più agées, dove domina la pietra focaia che porta al palato il sentore dei Riesling renani anche se le parentele, a sentire Walter Massa che cita Attilio Scienza, potrebbero ricondurre in una certa parte ai Sauvignon Blanc.
E giusto per provocare azioni e reazioni di assaggio e paragone, il Consorzio della Doc Colli Tortonesi ha pensato bene di metter su una due giorni di sicuro interesse, “Derthona Due.Zero”, con visite ai territori e a qualche azienda, e una zoomata sull’anteprima dell’annata 2021 di oltre 40 vignaioli. Bello, in questi due giorni, fare conoscenza così stretta e vicina del vino, del territorio, delle facce, dei sapori, delle storie. Una sosta con assaggio di piatti – ottimi i tipici agnolotti di carne con il ristretto di arrosto, i salumi, il formaggio Montebore che riporta una storia con protagonista Leonardo da Vinci, l’avrebbe servito come torta di nozze per il suo caratteristico aspetto a ripiani al matrimonio di Gian Galeazzo Sforza con Isabella d’Aragona – a La Colombera della famiglia Semino, 29 ettari per 100mila bottiglie, Elisa che la guida con padre e fratello è la vice presidente del Consorzio, con lei si assaggiano i due Timorasso della casa, il Derthona e il Montino – e “Cannavacciuolo lo serve con l’astice”, commenta orgogliosa – in verticale dal 2021 al 2016, ci sono agrumi e incenso, salinità e un che di torbato che esplode all’assaggio del 2006.
Secondo stop da Giampaolo Repetto, il presidente del Consorzio, in produzione dal 2013, 90mila bottiglie da 15 ettari in produzione e altri 3 in arrivo. C’è tanta Barbera da Monleale, ma soprattutto c’è tanta tecnologia in cantina, lui viene da un’azienda meccanica “e si usa – spiega – la tecnologia per evitare la chimica”, intero ciclo di vinificazione in vasca senza mai uscirne per ridurre i solfiti, cemento perché “non scambia, deposita meglio, è più neutro”, anche se alla fine “la tecnologia è difficile da spiegare in Italia”. Ma non disegna i legni, tonneau per i bianchi in esperimento, tonneau e barrique per la Barbera che dà bei segnali dalla freschezza vivace delle annate più giovani alla rotondità elegante delle più evolute.
La prima giornata finisce con una bella cena da Anna Ghisolfi, chef in odore di stella con le sue preparazioni estrose ma tutte legate sempre all’interpretazione del territorio e della tradizione, c’è il Timorasso ma in granita, c’è una rilettura del tonnato e il Montebore entra in un gelato, e tante altre chicche tutte da gustare mentre corrono le bottiglie, un fresco Timorasso 2018 di Giacomo Boveri “orgoglioso di essere contadino”, un Montino La Colombera 2019, un bellissimo 2013 che esce ora in commercio de La Ghersa di Massimo Pastura, i produttori si raccontano, siamo ai confini delle viticolture eroiche.
Secondo giorno, carbonara Scrivia, il Dongione che è una possente torre a più piani. Masterclass, una vera lezione di David Ferrarese, agronomo, con i numeri e i tanti aspetti dei terreni e delle stagioni, la complessa biodiversità di colture con grandi differenze di altitudine in questo bacino, e poi il principe Timorasso, “difficilissimo da coltivare, dai doppi-tripli germogli con grande affastellamento vegetativo a cespuglio e perciò enormi rischi sanitari, grappolo sensibile alla scottatura come alla bothrytis”, ma la soddisfazione di affermare che “le aziende sono piccole, e quindi di suo è un vero cru”. In degustazione l’annata 2021 di 43 aziende. In genere spiccata acidità, tanta salinità, leggera tannicità, naso vegetale di fiori ma anche agrumi e a volte frutta a polpa bianca acerba,m qualche ruvidità, qua e là gusti di grana, di sugna, di talco. Da far crescere, e si capisce a fine degustazione, con l’affiancamento di una dozzina di assaggi dal 2020 al 2016, e vien di pensare che l’apertura di una bottiglia 2021 adesso sia precorrere i tempi
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Ma intanto un segnale interessante: nei Colli Tortonesi sono arrivate e continuano ad arrivare anche grandi maison e grandi firme dalle Langhe. Ci sarà ad vederne delle belle. All’ex fabbrica Orsi continuano gli assaggi anche per il pubblico, lo chef tristellato Enrico Crippa viene premiato “ambasciatore del Timorasso”, il gruppo Derthona Giovani – 20 vignaioli, 12 aziende gastronomiche – illustrano e offrono in assaggio i prodotti del territorio: le pesche di Volpedo, il Montebore, il Salame nobile del Giarolo, la Ciliegia di Garbagna, la Fragola di Tortona, il Tartufo di San Sebastiano in varie preparazioni. Il ricambio c’è
La due giorni si conclude a cena, al ristorante Montecarlo, bell’antipasto con i gusti tipici, il tonnato e l’insalata russa e i salumi, gli agnolotti, la guancia brasata alla Barbera. Immancabile show di Walter Massa, aneddoti di storia personale e della sua terra. Averne.