“C’era una volta…”. Ma sì, dai: in questo mondo del vino in altalena tra futuro hi-tech e tradizione, un richiamo alle grandi memorie ci sta. Specie in Toscana, dove la tradizione si ammanta di cultura antica e antiche nobiltà, di paesaggi immortali e di storie a veglia, di figure che del vino hanno fatto la Storia e le storie. E quindi, c’era una volta. O forse più di una, se vuoi stare ad ascoltare il racconto di un’azienda come Pakravan Papi. Dove anche Dante fa capolino, e non è la solita trovata pubblicitaria da ricorrenza.
Intanto il nome, che profuma di esotico. Per forza, la prima metà del cielo il tocco esotico ce l’ha eccome. Amineh Pakravan, nata in Persia e vissuta in Francia – bel percorso nella storia del vino – e scrittrice diventata celebre con un bel romanzo, “Il libraio di Amsterdam”, ambientato nel Cinquecento in fiamme tra guerre di religione e voglia di nuovi mondi. E via con i “c’era una volta”. Perché galeotta fu la furia dell’Arno alla fine del Sessantasei. Arrivarono tanti ragazzi, per mettere in salvo l’arte e la cultura, gli Angeli del Fango. Tra loro anche la bella persiana Amineh, all’orizzonte una laurea in storia medievale con Georges Duby. E un giovanottino di Vada, costa livornese, Enzo Papi, ben altre ma pur nobilissime origini: genitori e nonni maremmani, mezzadri dalle famiglie aristocratiche di Bolgheri, anche se lui avrebbe poi seguito vie diverse fino a laurearsi in economia e diventare un top manager. Colpo di fulmine, presto il matrimonio, la vita che pare prendere un’altra piega. Ma l’amore per quelle terre dove da ragazzo andava a caccia con il babbo non si sradica, e allora Enzo ritorna. E con la sua Amineh mette gli occhi sul secondo “c’era una volta”: dalle parti di Riparbella, nel folto della macchia oltre il parco regionale che si chiama Giardino di Scornabecchi, su una terrazza naturale che dai suoi 200 metri guarda tutta la costa possibile isole comprese, ci sono due casali costruiti a metà del Settecento dal marchese Carlo Ginori, uomo di gran significato per l’agricoltura della Toscana e in particolare della Costa, da governatore di Livorno fu lui a cominciare la bonifica degli acquitrini e delle paludi…
Ortacavoli (qui è sempre poesia nei nomi) è quel luogo dove Enzo e Amineh cominciano a metter su casa e qualche metroquadro di terra, mentre intanto la famiglia cresce e nascono i figli, Leopoldo e Chiara. E con la famiglia cresce il podere: da un ettaro, nel Duemila – grazie anche alla collaborazione con l’agronomo Stefano Pinzauti – si piantano i primi 10 ettari di vigneto, nel 2002 nasce la cantina, pensata come un’antica pieve toscana. Alla fine del percorso si arriva a 20 ettari a vigneto, 3 e mezzo a bianco e 16 e mezzo a rosso, dei 90 totali di una tenuta che è modello di biodiversità e integrazione tra l’agricoltura, il bosco la macchia. Come quando c’era una volta il marchese Ginori. Biologico “nature”, senza bisogno di bollini.
Enzo Papi sa poco di vino, ma studia e legge, e legge e studia. Si consulta con Pinzauti, si affiderà a un’enologa del calibro e del livello di Graziana Grassini, allieva e braccio destro di Giacomo Tachis. Piantano Chardonnay, Riesling e le Malvasie, quella toscana e quella di Candia, e le bacche rosse che si adattano meglio alle esposizioni, al microclima particolare, ai pendii dolci con i terreni circondati da boschi e con i suoli così ricchi di spunti diversi, argille a palombini, marne, gabbri, sabbie: c’è il Merlot e i due Cabernet (Sauvignon e Franc), “ma qui è tutto diverso da Bolgheri”, chiarisce subito Leopoldo (il nome è omaggio al santo patrono di Vada), seconda generazione al timone dell’azienda con la compagna Francesca Filippone, lombarda, sinologa ed esperta di relazioni e commerci con il Celeste Impero. A completare il team, con loro, la ventisettenne enologa livornese Alice Bono.
A Ortacavoli c’è voglia di Francia, ma senza rinnegare il territorio: così accanto alle bacche rosse internazionali ecco un Sangiovese, “ma piccolo, una varietà assai vecchia – spiega Leopoldo – che mio padre aveva trovato già presente in azienda”, e così Ortacavoli diventa un unicum nel panorama della costa: acidità e freschezze ne definiscono il carattere un tantino rivoluzionario, messo a fuoco però ancor più con i vini bianchi. C’è voglia di Francia, con lo Chardonnay e il Riesling accanto a una Malvasia secca in purezza, essa pure rara in regione, e con la cura per i bianchi lavorati sempre a temperatura controllata per mantenere caratteri di freschezza, salinità, acidità con un accenno minerale. Spirito che non a caso sfocia in un vino nominato “Ribellante”, ecco l’omaggio a Dante e alla poesia, in quei versi del primo canto dell’Inferno, quando Virgilio giustifica l’assegnazione al Limbo con il celebre “perch’i’ fu’ ribellante a la sua legge”.
Breve viaggio negli assaggi, una sera a cena al San Paolino del 25Hours Hotel di Firenze, in una deliziosa riservata saletta proprio dietro il banco degli “alimentari” sempre ottimo per aperitivi, a cui il team Pakravan Papi dedica per l’occasione la fresca e pulita Malvasia (3mila bottiglie, in azienda a 8 euro), e con l’antipasto è subito tempo di Ribellante, blend dominato da un 60-70% di Riesling Italico più Chardonnay e Malvasia toscana, uve che nascono nelle argille ricche di fossili e che puntano appunto a un’identità più “francese”, con quell’acidità e il bouquet agrumato ma leggermente affumicato, brillante e croccante, “un esperimento azzardato ma venuto bene, sicuramente insolito per la zona”, chiosa con orgoglio Leopoldo Papi. Cinquemila bottiglie, 14 euro. Per pici all’aglione e zuppa di porri la carezza del Gabbriccio 2017 (8-110mila bottiglie, 15 euro), questo Sangiovese così atipico dal corpo non eccessivo ma dal tannino sottile e fresco, che Alice Bono rivela essere effetto anche di lieve passaggio in “governo”. Assaggio al volo tra una portata e l’altra per il Prunicce 2019, 30mila bottiglie a 8 euro, Sangiovese e Cabernet Sauvignon in percentuale 70-30, “come un Carmignano”, nota ancora Leopoldo, vino che va forte negli Usa. Grigliata di maiale, in campo i due rossi di stampo transalpino. Cancellaia 2018, 20mila botttiglie a 15 euro, Cabernet Sauvignon 75% Cabernet Franc il resto, da terreni vulcanici a rese basse che danno sentori minerali e freschezza, ma nel bicchiere c’è balsamicità e un tono di pepe verde insieme alla frutta rossa; di seguito il diamante di casa, Campo del Pari 2016, qui domina il Merlot (70%), e il cioccolato speziato, con le more e i mirtilli, si appaia all’immancabile freschezza balsamica 6mila bottiglie, 22 euro). Sui formaggi si torna al bianco con il Serra de’ Cocci, lo Chardonnay in tutta la sua espressione mediterranea ma mdi ispirazione francese, insomma un cesto di frutta fresca (5mila bottiglie, 10 euro).
Riassunto in numeri: 20 ettari di vigne, 70mila bottiglie, 3 bianchi e 4 rossi che potranno ridiventare 5 se e quando tornerà il Beccacciaia, Merlot in purezza. Cosa non impossibile, la voglia di crescere c’è. Anche sui mercati, soprattutto in Italia: oggi Pakravan Papi esporta l’85-90% di prodotto, tra Usa, Asia (in particolare Cina) e Nord Europa, e l’intenzione è aprirsi sempre di più anche al mercato nazionale. Intanto funziona l’ospitalità: nelle due case del marchese Ginori sono stati allestiti sette appartamenti con piscina, tennis, area barbecue, sentieri, mtb, e quella vista spettacolare sul mare. E Francesca promette ancora di più: l’Enoteca Pakravan Papi, dalla prossima estate. Fusion di famiglia, dalla Persia al Tirreno e ai boschi dell’Alta Maremma. Che tentazione.