Nel panorama vitivinicolo si assiste, oggi più che mai, alla formazione di “unioni” tra vignaioli parallele a Consorzi o Enti di tutela, che pure un po’ ovunque sono presenti da tempo e ben radicati. Tali unioni impongono quasi sempre di sottoscrivere e rispettare regolamenti più severi rispetto al disciplinare di riferimento.
Mi sono chiesta allora: cosa spinge i produttori ad unirsi e soggiacere a regole più stringenti? E’ vero che l’unione fa la forza, ma chi glielo fa fare visto che, rispettando solo il disciplinare, possono riportare in etichetta la DOC di riferimento? Credo che non sia solo ricerca di qualità e nemmeno desiderio di distinguersi a tutti i costi. Penso invece che, nella volontà di aggregarsi, la qualità del vino sia un pre-requisito, il punto di partenza e non di arrivo, e che i vignaioli cerchino, con l’unione, di stabilire un nuovo patto di credibilità e fiducia con il pubblico, interpretando in modo – finalmente – autentico la tradizione e la storia enologica del luogo. Questo è ciò che mi ha trasmesso la presentazione di ORV – Oltre le Radici della Vite, una rete di imprese costituita da 5 aziende vitivinicole, tutte a conduzione familiare, operanti nella DOC interregionale Orvieto. L’evento è svolto presso la Trattoria da Burde, che per l’occasione sfodera i propri intramontabili piatti forti, dall’acqua cotta ai pici, dalla cinta senese al castagnaccio.
Durante la degustazione, i produttori raccontano che il disciplinare della DOC Orvieto permette un uvaggio molto flessibile: 60% tra Grechetto e Trebbiano e 40% altri vitigni a bacca bianca, la cui coltivazione è autorizzata in Umbria (dove praticamente rientra di tutto un po’). Questo, se da un lato ha consentito produzioni massive, ha dall’altro sradicato il bianco di Orvieto dal legame con i vitigni autoctoni e impedito che lo stesso rappresentasse il proprio terroir. Per contrastare questo fenomeno, il manifesto di ORV impone alle aziende aderenti di utilizzare solo vitigni autoctoni. E per non creare disuguaglianze di stili, tutti i produttori hanno rinunciato al legno in favore dell’acciaio e, per la tenuta Le Velette, del cemento.
Un breve inciso a beneficio della chiarezza: da disciplinare, la menzione “Classico” può essere riportata in etichetta se il vino è prodotto da uve provenienti dalla zona storica di coltivazione della DOC Orvieto, mentre la menzione “Superiore” riguarda la minore resa per ettaro:11 tonnellate/ha per l’Orvieto e l’Orvieto Classico, 8 tonnellate/ha per il Superiore.
Prima batteria d’assaggio, tutti 2021. Come tutti i vini a base Trebbiano, non sono bianchi dal naso ampio, si apprezzano di più al gusto. Tuttavia, all’olfatto il filo conduttore c’è: tutti e 5 i campioni rivelano un marchio di fabbrica piuttosto divertente. Quando degusto i bianchi, all’esame olfattivo mi capita di citare il mango, non tanto per riferirmi genericamente alla frutta tropicale, quanto perché il mango profuma insieme di mela e limone, è una sorta di mela limonata. Ecco, in tutti e 5 i campioni di Orvieto sento il profumo combinato di mela e limone, a volte spostato verso le pomacee, a volte verso il cedro, ma c’è sempre.
Madonna del Latte Orvieto Classico Superiore – Grechetto, Procanico, Verdello, Drupeggio – 13,5%: naso di ginestra, pesca nettarina, ananas; sorso agrumato con ritorni di erbe aromatiche, salvia. Mediamente persistente.
Cantine Neri Ca’ Viti Orvieto Classico Superiore – Grechetto, Procanico, Malvasia, Drupeggio e Verdello – 13%: ventaglio olfattivo di acacia, susina, mango; sorso più fresco che sapido.
Tenuta Le Velette Lunato Orvieto Classico Superiore – Grechetto, Procanico, Malvasia Bianca, Verdello, Drupeggio – 13%: bagaglio odoroso di mela Stark, piccoli fiori bianchi, fragrante di frutto; tocchi di salgemma. Sorso ben scandito da impronte di pietra focaia.
Sergio Mottura Tragugnano Orvieto – Grechetto, Procanico: profuma di fresia, pompelmo e fieno tagliato. In bocca si accentuano le note fruttate, con incursioni di salsedine. Lunga persistenza.
Palazzone Terre Vineate Orvieto Classico Superiore – Procanico, Grechetto, Verdello, Drupeggio, Malvasia – 13,5%: campanula, scorza di cedro, piuttosto netta l’impronta di pietra pomice. Epilogo di ginger.
Con la prima batteria di assaggi è servita la torta di zucca, mandarino e salvia, che è come dire “novembre in bocca” e l’acqua cotta, un classico di Burde che stavolta è arricchita da castagne.
Seconda batteria, tutti 2018. Son passati 4 anni, la scelta dei produttori è quella di farci apprezzare l’evoluzione del vino, ed effettivamente l’affinamento è ben svolto: sono tutti dotati di equilibrio ed eleganza.
Madonna del Latte Orvieto Classico Superiore: pepe bianco, timo, caramella al limone. Finale di mandorla bianca.
Cantine Neri Ca’ Viti Orvieto Classico Superiore: fiore del tiglio, mela renetta, miele e noce moscata. Buon equilibrio fresco/sapido, con orlo leggermente balsamico di melissa.
Tenuta Le Velette Lunato Orvieto Classico Superiore: fiore della magnolia, citronella. Al palato svela le note di mela verde e aneto. Leggera nota fumé.
Sergio Mottura Tragugnano Orvieto: molto meno floreale degli altri, più spostato sulle note fruttate e sulle erbe aromatiche, in particolare la mentuccia. In chiusura mi sorprende l’aroma di nocciolina.
Palazzone Terre Vineate Orvieto Classico Superiore: libera un sentore di fiore che contiene in sé anche il profumo d’arancia, forse la zagara. Sorso ricco di rimandi fruttati, buona persistenza.
Con la seconda batteria sono serviti i pici all’aglione, impreziositi da un croccante carciofo che armonizza le consistenze.
Terza batteria, annate precedenti:
Madonna del Latte 2019: gelsomino, pera, sesamo. Avverto un rimando verde di fagiolino. Palato ingentilito dal pinolo, con retrolfatto di curry. Persistente.
Cantine Neri Ca’ Viti 2014: burro fuso, albicocca, fiore del tarassaco. Mais. In bocca è una bella coccola.
Tenuta Le Velette Lunato 2014: eucalipto, leggera nota di mostarda di Cremona e malaga. Finale un poco sfuggente.
Sergio Mottura Tragugnano 2010: pepe bianco, mandorla, burro cacao, mazzetto di camomilla essiccato. Ancora dotato di acidità vibrante.
Palazzone Terre Vineate 2010: cioccolato bianco, diplomatico, pistilli del giglio. Freschezza incredibile.
Con la terza batteria, Capocollo di cinta senese con patate e mela al forno e un dessert toscano che più toscano non si può, il Castagnaccio e ricotta che, ben si sa, è un dessert ma non è un dolce, soprattutto se accompagnato dalla ricotta. Con il Tragugnano 2010 e il Terre Vineate 2010 l’abbinamento mi ricorda una merenda o fine pasto dell’infanzia: la ricotta con la marmellata di albicocche.