Un’attesissima quarta edizione che ha celebrato la qualità e la varietà del patrimonio ampelografico meridionale.E Roma si immedesima, sfoderando un sole da piena estate e fibrillazioni da red carpet.
Sarà stato il caldo arrivato all’improvviso, o l’atmosfera tropical-mediterranea dell’appena rinnovato hotel Villa Pamphili, ma davvero il ritorno di Beviamoci Sud, dopo due anni di stop, non poteva svolgersi in un’atmosfera più giusta.
Gli organizzatori di Riserva Grande Academy, in collaborazione con Andrea Petrini e Luciano Pignataro, hanno infatti schierato una batteria di produttori altamente rappresentativa e predisposto un calendario di incontri di grande spessore.
Ho avuto l’onore di essere stata invitata al primo di essi, il seminario di Assovini Sicilia “Il variegato universo dei bianchi nelle terre dell’Ovest siciliano”, curato dal Master of Wine Gabriele Gorelli, eno-orgoglio italiano, tout court, affiancato nella conduzione da un’altra celebrity, Daniele Cernilli aka Doctor Wine.
Quando il livello di competenze e di esperienze è così stratificato e l’efficacia comunicativa è la cifra che sigilla il tutto, il rischio per lo spettatore è uno solo: alzarsi dalla sedia con in testa una ridda di domande da porre ai due relatori in modalità kalashnikov, sfiorando l’eventualità di essere allontanati come fastidiosissimi stalker. Ho dunque saggiamente evitato di soddisfare le mie curiosità, vista anche la considerevole fila transgenerazionale che si era formata per i selfie di rito e me le sono annotate per momenti di maggior calma.
E dopo il preambolo glamour che la situazione innegabilmente richiedeva, focus sul focus e vino al vino.
Dire che la Sicilia è un continente in miniatura non è un luogo comune, né un’esagerazione. Chiunque vi abbia messo piede almeno una volta lo sa e soprattutto lo sente, lo avverte, lo annusa. Le differenze tra macro e micro versanti, tra le coste e l’entroterra sono evidenti, la ricchezza archeologica e artistica è variegata ed abbagliante, la cucina è un manifesto dalla storia antica che inneggia alla contaminazione culturale. E però…però alcune criticità sono evidenti, anche se non riescono ad oscurare le meraviglie. Sì, si può e si deve dire e anche ribadire: se quest’isola disponesse di infrastrutture adeguate, non ce ne sarebbe per nessuno, il suo patrimonio è tanto e tale che, se fosse anche più agilmente fruibile, i flussi turistici di Baleari e Canarie, per dire, se li fulminerebbe in un amen.
La cosa rilevante davvero però è che, nonostante appunto le carenze infrastrutturali, dal punto di vista del turismo enologico i dati sono in costante crescita, grazie al fatto che questo territorio-continente è un unicum sfaccettato e dal carisma indiscusso, a partire dai vigneti delle contrade etnee fino agli alberelli panteschi protetti dai muretti a secco.
Giusto un paio di dati: il più vasto vigneto italiano (97.000 ettari) ed anche il più idoneo all’adozione di regimi sostenibili (coi suoi 26.000 ettari in biologico detiene il primato nel nostro Paese); grande varietà di suoli e ricchezza ampelografica (oltre 70 varietà autoctone). Un potenziale di attrazione elevatissimo nell’orientare le scelte del consumatore ed un’identificazione sempre crescente, come sottolinea il presidente di Assovini Sicilia, Laurent Bernard de la Gatinais, della sicilianità col concetto di chic, ossia sintesi di unicità, cultura, tradizione, alta qualità. Non ultima, la vitalità delle aziende, con una presenza in crescita delle nuove generazioni.
Cinque i vini in degustazione, tre Grillo e due Catarratto da altrettante aree della Sicilia occidentale. Tutti affinati in acciaio, tranne l’ultimo che fa un breve passaggio in legno grande.
Grillo Masseria del Feudo 2021
Dalle colline intorno a Caltanissetta; biologico; terreno calcareo di medio impasto; pulizia al naso e palato, componente agrumata accompagnata da note di miele e fiori bianchi più nette al naso al termine della degustazione, fresco e piacevolmente sapido.
Mozia Grillo Tasca D’Almerita 2021
Dall’isolotto di Mozia, nel trapanese, davanti alle saline della Riserva dello Stagnone; suoli di origine marina, sabbiosi e sciolti con componente calcarea.
Note mineral-sulfuree in ascesa ad affiancare gli agrumi e le erbe aromatiche e sapidità che diventa salmastra a tener su un corpo più pieno del precedente
Lalùci Cristo di Campobello 2021
Sulle colline di Campobello di Licata, nell’entroterra agrigentino; terreno a prevalenza calcarea; vibrante di freschezza e sapidità, le uve vengono vendemmiate in leggero anticipo e l’impronta agrumata è più verde rispetto ai primi due vini, affiancata da eleganti note di macchia mediterranea;
Midor Catarratto Gorghi Tondi 2021
Nell’agro di Mazara del Vallo; biologico; terreno pianeggiante, sabbioso con substrato calcareo; foglia di fico, agrumi e un accenno di anice. Freschezza meno accentuata rispetto al Grillo, molto gastronomico. Attacco generoso e chiusura lievemente amaricante, con bella persistenza.
Vigna Casalji Rapitalà 2020
Da Camporeale, colline alte fino a 600 mt alle spalle di Alcamo; suoli sabbioso-argillosi; biologico; accenni di tostatura che non prevaricano i profumi di agrumi maturi e di frutti a polpa gialla, le note di evoluzione sono in equilibrio con la freschezza che sostiene il sorso per una diversa sfaccettatura di Catarratto.
Grillo e Catarratto, il primo figlio del secondo, frutto di un incrocio realizzato a fine Ottocento tra questo e lo Zibibbo; la sapidità come tratto comune, più verticalità e profumi in uno e maggior struttura e alcolicità nell’altro, due espressioni diverse ma ugualmente territoriali e connotanti della parte occidente dell’isola.
Mi ha molto incuriosito l’accostamento proposto da Gorelli e Cernilli tra Grillo e Chenin blanc, in virtù della condivisa spiccata freschezza e della duttilità in vinificazione. Si impone quanto prima un assaggio comparato Trinacria-Loira e con la stessa curiosità vorrei provare il più morbido Catarratto insieme ad almeno un paio di interpretazioni di Chardonnay. Magari in Sicilia, seduta a un vecchio tavolino in ferro battuto rivolto verso il luccichio bianco delle saline dello Stagnone e magari, già che ci siamo, in un orario prossimo al tramonto.